IL Pensiero Moderno Del Musicoterapeuta si Accosta alle Teorie di Rameau

 

LA VOCE MATERNA

 “In principio era il suono” e il suono era presso la madre “e il suono era la madre”

(F. Fornari)

                                                                                             

Il feto sviluppa molto precocemente la capacità di ascoltare, di riconoscere e memorizzare le voci e i suoni. Già durante la gravidanza, attraverso la voce, il canto e la musica, è possibile favorire una comunicazione tra la madre e il bambino; in particolare la modalità della madre di esprimersi in “motherese” si è dimostrata in grado di attivare nel neonato specifiche zone cerebrali normalmente interessate alla regolazione delle emozioni. Il suono, vocale o strumentale, svolge un ruolo importante per lo sviluppo neurologico. La componente prosodica della voce materna (cioè la parte ritmica e melodica) è quindi da considerare una vera e propria forma di contatto emozionale, una forma di abbraccio non corporeo. La grande plasticità cerebrale del periodo perinatale può trovare nella voce e nella musica un potente attivatore in grado di produrre contemporaneamente stimolo e piacere.

Per almeno un terzo della gravidanza l’essere umano vive immerso in un ambiente sonoro; il feto vive ciò che sente, e la sua esistenza è completamente contenuta in un liquido che parla. Questa continua stimolazione uditiva e questo costante esercizio d’ascolto producono una veloce maturazione dell’udito, così che alla nascita questo appare come un unico organo già completamente mielinizzato. Il bambino all’interno della pancia ascolta soprattutto la madre, il rumore del suo respiro, mutevole, ritmico e simile alla risacca sulla spiaggia; ma il concerto viene dai suoni degli organi addominali connessi alle numerose funzioni: alimentazione, digestione, evacuazione. Su questo ricco sfondo sonoro si inserisce la vera musica: la voce materna. Questa proviene al feto direttamente dall’interno, propagandosi attraverso gli organi, in particolare l’apparato scheletrico; dalla laringe la voce scende lungo la colonna vertebrale e giunge al bacino che funge da cassa di risonanza. Nel liquido l’orecchio esterno e quello medio hanno una scarsa funzione uditiva e lo stimolo acustico arriva direttamente alla coclea (e per il feto anche l’olfatto è una percezione di natura liquida e non aerea). Nel corso della gravidanza i suoni vengono filtrati dal liquido amniotico che li trasforma in vibrazione; questo provoca un effetto di filtro sui suoni acuti, mentre vengono mantenuti quasi inalterati i suoni gravi. Ne consegue che le basse frequenze sono quelle per le quali il feto dimostra maggiore interesse (nel senso di risposta comportamentale specifica e selettiva). I suoni esterni (comprese le voci del papà e dei fratellini) vengono percepiti in forma attenuata ed anche per questi è sempre il corpo materno a garantire la loro trasmissione al feto.  Fin dalla gravidanza il bambino conosce e riconosce la voce materna; in particolare diventano familiari gli aspetti prosodici della voce. Sono il tono e la melodia a stimolare il bambino e a coinvolgerlo, perché per lui questa voce è prima di tutto musica e ritmo. Il ritmo vocale può tranquillizzarlo o eccitarlo, rassicurarlo o preoccuparlo; attraverso il suono il feto può riconoscere i sentimenti della madre ed entrare in sintonia con lei. L’ascolto e la conoscenza di questa voce sono per lui un’esperienza globale e profonda, in grado di coinvolgere tutti gli altri sensi e rendere attiva la sua mente in formazione. Secondo lo psicofonologo Alfred Tomatis “per un bambino perdere la voce della madre significa perdere l’immagine del proprio corpo”, perché questo suono all’inizio della vita è parte di lui e possiede una valenza identitaria; in questa fase della vita la sua identità coincide con quanto è in grado di percepire: “egli pensa per emozione e sentimento”. Il ritmo della voce materna è probabilmente il principale ponte di continuità tra la vita prenatale e quella postnatale. Le localizzazioni prosodiche prelinguistiche (prive quindi di significati simbolici e astratti) sono da considerare delle vere e proprie forme di contatto emozionale; la voce diventa una sorta di estensione non corporea dell’abbraccio e del contatto materno.

La lingua materna è il prodotto di una lunga selezione che permette una prima forma di legame madre-bambino, in grado di attivare quel processo di attaccamento che si affinerà col tempo. Il cosiddetto “motherese” o “mammese” è la modalità cantilenante caratteristica di chi si rivolge a un bambino piccolo; in maniera non consapevole vengono utilizzati vocali allungate, toni alti, ritmo lento, pause lunghe, ripetizioni, sottolineature e accentuazioni esagerate. Nel motherese il contenuto del messaggio è rappresentato dalla melodia stessa; in questa modalità di comunicazione vengono resi leggibili i sentimenti e le intenzioni di chi parla. Attraverso la musicalità dell’espressione materna, il neonato (e il feto) inizia a conoscere se stesso e a “sentirsi sentito”; questo tipo di comunicazione va considerata una profonda e raffinata modalità di “rispecchiamento” tra la mamma e il bambino.  Stern scrive: “Ciò che più meraviglia chi ascolta una madre che parla al suo bambino di pochi mesi è come gli parla piuttosto che quello che dice”. La vocalizzazione sembra servire più come consolidamento del rapporto che come scambio di informazioni. È come se la madre preparasse il bambino a compiere adeguate esperienze su tutti i possibili e più significativi tipi di suono che altri potranno esprimere. Il suono, la voce e la parola della madre rivolti al feto sono in grado di sviluppare nel nascituro non solo un’emozione positiva ma un sentimento e un legame d’amore. Essi sarebbero anche in grado di: “accrescere l’attaccamento del bambino alla madre e al padre, favorire lo sviluppo del linguaggio e la sensibilità alla vita sociale, stimolare l’attività delle cellule e delle vie uditive del cervello, aumentare la densità delle vie neuronali uditive, accrescere la memoria e l’apprendimento, favorire lo sviluppo delle attività intellettive” (Soldera).

Un’ulteriore stimolo per il feto può essere il canto, infatti per la varietà di frequenze che lo caratterizzano è in grado di favorire l’equilibrio energetico del nascituro. A questo proposito, sono di grandissimo interesse le osservazioni di M.L.Aucher. Questa cantante e studiosa francese, fondatrice della Psicofonia, ha saputo comprendere quali siano con precisione i distretti corporei del bambino sollecitati dalla voce.

Il canto prenatale, così come è stato pensato dalla Aucher, svolge la funzione di sostenere l’identità psicofisica della gestante mentre crea per il suo bambino un nutrimento sonoro, portatore di affetto e di comunicazione profonda. Gli studi di M.L.Aucher riconoscono l’importanza di entrambe le voci dei genitori, per cui anche l’espressione vocale del papà vibra il bambino in modo significativo. Nella sua cartografia delle corrispondenze sonore del sistema nervoso, depositata presso l’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1960, illustra la relazione tra le frequenze della scala musicale e i gangli paravertebrali dell’essere umano.

 

 

La voce materna, più acuta, stimola il piccolo dalla vita alla testa, mentre quella paterna, più grave, lo stimola dalle ginocchia al petto.

L’osservazione di neonati, figli di cantanti professionisti, ha offerto alla Aucher l’opportunità di verificare la fondatezza delle sue supposizioni: laddove era la madre ad aver cantato per tutta la gravidanza, il bambino mostrava alla nascita solidità della nuca, vigore degli arti superiori, prensione pollice-indice, estensione della mano ed esposizione del palmo alla ricezione delle sonorità. Quando invece era stato il padre a cantare durante l’epoca prenatale, gli effetti riscontrati più frequentemente erano il vigore degli arti inferiori e la deambulazione precoce, nonché una maggiore capacità di regolare la statica e la dinamica del corpo. Per M.L.Aucher, il canto di entrambi i genitori è la modalità comunicativa capace di favorire l’equilibrio energetico del bambino, grazie al maggior numero di frequenze che vi si rappresentano. Per i genitori, il canto rappresenta l’occasione privilegiata per passare dalle vibrazioni del corpo al canto dell’anima con e per il bambino.

Brevi accenni di Psicofonia

Fondata dalla cantante M.L.Aucher intorno agli anni ’50, la Psicofonia studia il processo grazie al quale le sonorità prodotte dalla voce sollecitano precise parti del corpo: ogni suono emesso è in grado di colpire una vertebra e i gangli paravertebrali (noduli che fanno parte del sistema nervoso) che le stanno ai lati, da cui si dipartono i nervi diretti ad uno o più organi interni. M.Aucher nel corso delle sue ricerche avverte delle zone di risonanza specifiche per alcune note della gamma sonora e individua parti del corpo particolarmente attive nell’emissione della voce “emotivamente modulata”. La studiosa elabora una cartografia delle risonanze che illustra la relazione tra le frequenze della scale e il corpo umano nella sua interezza, mettendo in evidenza le relazioni intime tra il corpo e la voce, “ad una nota difettosa può corrispondere una disfunzione organica”. In base a questo schema l’architettura anatomica dell’essere umano si sviluppa su quattro piani: piedi, bacino, torace, testa. Ognuno di questi piani costituisce un centro energetico al quale sono associati una correlazione fisica ed emozionale, una dimensione simbolica ed una funzione vocale.

Per la psicofonia la voce è l’espressione dello stato psicosomatico della persona. La fonazione è un fenomeno totalizzante che coinvolge tutto l’organismo e che congiunge le facoltà recettive e quelle attive del sistema nervoso. In questa disciplina la voce non è solo strumento diagnostico del benessere o malessere di una persona, ma anche strumento per armonizzare e riequilibrare la persona. Uno degli obiettivi del lavoro psicofonetico è risvegliare alla vita attraverso il canto. Il canto armonizza il rapporto tra il corpo, il respiro, la profondità delle emozioni, il calore comunicativo, la luminosità dei processi mentali.

 

Lavoro psicofonetico

Un fondamento della psicofonia è la convinzione della capacità di evoluzione dell’essere umano. Nella voce si manifesta il ritmo e la profondità della respirazione, il tono muscolare, la postura del corpo, l’energia vitale, le emozioni, la carica, così come la spiritualità di ciascuno. Nel lavoro psicofonetico si valorizza l’unicità di ciascuno alla ricerca dell’unità dell’essere.

 

Campi di applicazione

L’approccio al canto si declina nell’educazione, nella prevenzione, nella terapia. Nel settore della prevenzione rientra il canto prenatale, il canto familiare ecc.

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