Non si tratta di un gioco erotico Post-Covid, ma voglio spiegarti cosa accadde a livello storico e poi anche armonico. Concediti qualche minuto per leggerlo.

Il contributo compositivo di John Coltrane nella storia della musica, al di là dell’altissima statura come innovatore, e stilista in campo sassofonistico, sta fondamentalmente in una serie di concatenazioni armoniche sfruttate a partire dall’analisi del “circolo delle quinte”, progressioni che hanno dato vita a celebri composizioni come Giant Steps o Satellite e che trovano i prodromi già in un brano precedente Moment’s Notice.

Queste progressioni armoniche vennero utilizzate da Coltrane su successioni accordali originali (Giant Steps) oppure per riarmonizzare con la tecnica delle sostituzioni progressioni armoniche di standards: è il caso di Satellite che una rielaborazione armonica di How High The Moon.
<<All’inizio di tutta la faccenda c’è il bebop. E più indietro, alle sue spalle, Kansas City. Fu là che la pratica del jazz si ridusse a un unico esercizio: prendere un giro armonico, e sottoporne gli accordi a tutte le sostituzioni possibili.

Quando John Coltrane si affaccia sulla scena, nel 1955, ha quasi trent’anni, viene da un lungo e oscuro apprendistato condotto tra bebop e rhythm and blues. E’ un virtuoso del sax tenore, ma idee nuove non ne ha. Sembra un Dexter Gordon più forbito e fluente, Miles Davis lo accoglie nel suo quintetto: gli regala la celebrità, ma nessun consiglio. Sta zitto.
Sentendosi non all’altezza dei compagni, Coltrane studia furiosamente. Si migliora. Si sforza di essere originale. Anzi è costretto ad esserlo, perché nessuno gli dice cosa fare. Nel giro di tre anni, il timido sassofonista di provincia diventa un innovatore del suo strumento. Ha fatto una ricerca a tappeto di tutti i tipi possibili di arpeggi e accordi. Si è procurato, o costruito, tabelle delle combinazioni possibili. E’ la stessa cosa che, anni prima, avevano già fatto Parker e Gillespie, nel famoso “quaderno pieno di note e di frasi” intravisto da Earl Hines. Ma Coltrane riprende il problema da capo, e molto più in grande.
Il bebop è un linguaggio ormai solido, codificato. C’è rimasto poco da inventare, e scovare quel poco costa fatica. Coltrane batte due strade: da un lato, spinge il bebop alle estreme conseguenze; dall’altro, va a caccia di tutte le possibili soluzioni irregolari, o devianti. Se i boppers

pensavano a crome, Coltrane pensa a semicrome: il fiotto di note che sgorga dal suo sax prende anche un nome, tra scherzoso e ammirato: sheets of sound, cortine sonore. Se i boppers avevano infittito l’armonia infilando nuove sostituzioni, Coltrane trova il modo di infilare le sostituzioni delle sostituzioni delle sostituzioni. Davis lo guarda a bocca aperta: “Si dedica a quegli arpeggi, e poi suona accordi che portano dentro altri accordi, e li suona in cinquanta modi differenti, e li suona tutti allo stesso tempo”, dichiara a Nat Hentoff.

Come ha testimoniato Alice McLeod (l’ultima moglie di Coltrane, ndr), il marito, negli ultimi mesi di vita, era ossessionato da strane idee. Percuoteva oggetti, rimuginava serie di numeri interi: andava forse in cerca di un algoritmo misterioso, capace di definire il segreto fondamento numerico della music: quella vibrazione primordiale e naturale, posta alla base di tutte le musiche del pianeta. Naturalmente lo cercava non da scienziato, ma – diciamo così – da alchimista. Sebbene non digiuno di acustica (come provano le sue ricerche, pur empiriche, sugli armonici del sax), Coltrane infatti non lavorava con un oscilloscopio. Il suo oscilloscopio era interiore. Assaporava vari suoni, alla ricerca delle segrete corrispondenze tra di loro, e con i numeri. Cercava una risposta alle sue domande non nel progresso tecnico, ma nella regressione psichica, nel ritrovare dentro di sé quelle sensazioni primarie, animali, di cui la moderna sensibilità musicale non era che un lontano sviluppo.

Egli cercava dunque l’armonia dei numeri; al pari di Pitagora, o dell’ultimo Anton Webern, il quale lasciò incompiuto il Kammerkonzert op. 32 perché ormai non scriveva più musica: tracciava disegni geometrici dei rapporti tra le note. Coltrane non arrivò mai a tanto, ma forse, poco prima della morte, vi andò vicino.
La giovanile ricerca sulle modulazioni non fu che il primo passo su questa strada. Proviamo dunque anche noi a rifare il suo ragionamento. Come è noto, disponendo le dodici tonalità maggiori secondo i loro legami di affinità, si forma il cosiddetto circolo delle quinte. Muovendo per esempio da do, vi sono undici modulazioni maggiore-maggiore. Tra queste, non creano problemi quelle che portano a una casella vicina: fa e sol, poi si bemolle e re, poi mi bemolle e la.
I grandi salti al capo opposto del circolo delle quinte, in apparenza difficilissimi, in realtà erano già stati esplorati nel bebop. A renderli meno scabrosi è la regola della sostituzione di quinta diminuita” (G7/C = G7b5/C = Db7b5/C): alla tonica si può pervenire dalla “dominante” sostituita posta un semitono sopra. Ciò contribuisce a determinare

nuove affinità tra tonalità molto distanti, come quelle un semitono sopra e sotto.

Né vicino, né lontano, rimaneva il salto di terza maggiore, cioè di quattro caselle nel circolo delle quinte. Questa è davvero una brutta bestia. Il salto di semitono, infatti, si può ancora maneggiare, trasportando di semitono un riff, specie se in senso discendente. Con il salto di terza maggiore il trucco non funziona. D’altro canto, una melodia che comincia in do e finisce in mi suona quanto meno contorta. Nel pur vasto serbatoio di modulazioni della canzone americana, ce n’è un solo esempio, in Richard Rodgers: è l’inciso di Have You Met Miss Jones?, che salta da si bemolle a sol bemolle, e poi a re. Ecco un terreno lasciato vergine dai boppers.

Ma agli occhi del Coltrane numerologo, il salto di terza maggiore aveva anche un altro pregio. Tre note a distanza di terza maggiore dividono l’ottava in tre parti uguali. Ne risulta infatti la triade di quinta aumentata, do-mi-sol diesis. Questo accordo non ammette ulteriori sovrapposizioni di terze maggiori, perché la terza maggiore di sol diesis è di nuovo do. (Ignoriamo qui gli scambi enarmonici). Per la stessa ragione, esso non ha rivolti: come un triangolo equilatero, rigirandolo rimane sempre uguale a se stesso.

Ciò è vero anche tra centri tonali: modulando sempre di terza maggiore a partire da do, si salta dapprima in mi, poi in la bemolle, e si torna in do. Il “triangolo magico” è ora inscritto nel circolo delle quinte. E’ una scoperta semplice, ma eccitante. Nella musica colta nessuno l’aveva fatta: prima infatti era necessario il lavoro dei boppers, che avevano scarnito all’osso l’armonia europea, riducendo questa ai cambi, e i cambi alle modulazioni.

Il salto di terza maggiore diventa l’autografo di Coltrane, che lo infila dappertutto. Egli si esercita furiosamente sul triangolo magico a tempo sempre più rapido, fino ad acquisirne una stupefacente padronanza. L’apoteosi è un piccolo brano, che ha la perfezione geometrica di un esercizio, lo slancio travolgente di un teorema dimostrato al mondo: Giant Steps, passi da gigante.

La concisa progressione di Giant Steps (16 battute) consiste in tre triangoli magici: la terna tonale prescelta è mi bemolle-sol-si. In senso stretto, non è possibile dividere il giro in sezioni A, B, C…: al pari di Lady Bird, Giant Steps è un blocco unico, consolidato però da sottili simmetrie interne. E al pari di un blues (o di un turnaround) è una

giostra perpetuamente modulante. Tuttavia, le prime otto battute hanno un carattere un po’ diverso dalle seconde otto: potremmo parlare quindi – anche se non ha molto senso – di forma AB. Sia A sia B sono poi divisibili in due semifrasi, di cui la seconda riecheggia la prima, trasportata.

Scorrendo a occhio il giro armonico, si vede proprio ruotare il triangolo magico, individuato dalle dieci toniche: B G Eb G Eb B Eb G B Eb. Il legame tra le toniche avviene naturalmente per mezzo di cadenze, e può essere di due tipi. Nel tipo stretto, ogni tonica è preceduta solo dalla dominante secca: Eb / D7 / G. Nel tipo l argo, si ha invece la cadenza II/V/I completa: Eb / Am7 / D7 / G. Giant Steps contiene quattro cadenze strette e sei larghe. In A predominano i legami stretti, e c’è quindi tempo per due triangoli magici. In B vi sono solo legami larghi, e un solo triangolo magico (con un piccolo resto) occupa tutte e otto le battute.

La simmetria interna dello schema è ancora più evidente se giriamo Giant Steps. Nello schema originale, infatti, la terza battuta di ogni semifrase è occupata da un solo accordo, con una semibreve al canto: essa segna dunque il punto di riposo, la fine del segmento. Al contrario, la battuta successiva reca l’inizio di un II/V/I che appartiene alla riga sotto.

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