Dopo aver letto il testo del post ascolta Feuilles Mortes di DEBUSSY e Time Remembered di EVANS… Non è musica classica, non è jazz, è MAGIA. Un concetto che merita approfondimento.

Il pianista Bill Evans, fu un autentico innovatore del linguaggio pianistico jazz: armonicamente avanzatissimo, sviluppò una maniera unica di usare la mano sinistra sia ritmicamente che dal punto di vista dei voicings ( i particolari rivolti usati per distribuire le voci di ogni accordo) utilizzati per interpretare le sigle accordali; e oltre a un fraseggio originale che discendeva dalle influenze di George Shearing e Bud Powell, rilanciò la formula del “piano jazz trio” creando al suo interno uno “spazio” mai sentito prima, in cui sia il basso che la batteria avevano un ruolo paritario: basso e batteria non sono più semplici strumenti armonico-ritmici o accompagnatori, ma espletano funzioni dialogiche e interattive anche quando è il pianoforte ad essere il solista.

Evans Propone, come appare in Peace Piece l’armonizzazione per intervalli di quarta o a frammenti di modo, o, meglio ancora, “a suoni paralleli”, sarà il modo più usato di armonizzare che si incontra in tutti i grandi pianisti del jazz attuale come McCoy Tyner, Paul Bley, Herbie Hancock, Chick Corea, e così via..

Evans non ha composto una grossissima quantità di brani, come hanno fatto altri compositori ma tra tutti affrontiamo TIME REMEMBERED.

Fu pensando prima all’armonia e aggiungendo solo dopo la parte melodica – lo precisò lo stesso Evans – che nacque Time Remembered, composizione che diede il nome, a suo tempo, all’album che lo conteneva.

Questo brano può essere considerato emblematico della vicinanza estetica di Evans alle poetiche dell’impressionismo musicale. Il colorismo, tipico della grande stagione francese di fine Ottocento e inizio secolo, è visibilissimo nel puro accostamento operato da Evans fra un accordo e l’altro. La separazione fra armonia (mano sinistra) e melodia (mano destra) mette ancora maggiormente in evidenza questa idea compositiva ove è totale l’assenza di dinamismo armonico. Qui, molto più che nel prosieguo del brano, è fra l’altro sottolineato il valore melodico che Evans dà agli armonici superiori (7°, 9°, 11° e 13°) nel dispiegamento totale degli accordi i quali, al di là di una supposta

funzione bitonale (alla prima battuta, per esempio, il Si min. nel rigo di basso, e il La magg. Nel rigo superiore) sono usati ognuno come nucleo a sé stante.
Quanto questo procedimento fosse vicino all’accademismo classico è visibilissimo comparando queste battute con un paio di righe (10°/18° batt.) del preludio Feuilles Mortes di Debussy (tratto dal II Libro). Si osservino segnatamente le tre misure in 2/4 (3°,4° e 5°) e se ne avrà conferma; la 3° misura di entrambi gli esempi potrebbe addirittura essere intercambiata fra Evans e Debussy, collocandosi in modo perfetto.

Infine una curiosità. Alle ultime due battute dell’esempio debussyano, vi è al canto (ma al registro grave, in chiave di basso) una frase che per noi potrebbe benissimo suonare con pregnante feeling bluesy. Anzi, siamo convinti che se Bill Evans l’avesse improvvisata su una cadenza del tipo Do min. 7 – Fa 7, quella frase avrebbe funzionato benissimo. Dove? Magari sulle prime due battute di Les Feuilles Mortes, ops autumn leaves.

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